LA DUPLICE DISPERAZIONE
La duplice disperazione dell’uomo moderno. E la dimensione della "speranza soprannaturale" ? i falsi preti e il falso papa acuiscono i dubbi tormentosi dell'uomo moderno, si direbbe che godano ad accrescerne la sua disperazione
di Francesco Lamendola
L’uomo moderno è profondamente abbattuto e infelice; ed è abbattuto e infelice perché la sua anima è rosa dalla disperazione. La sua disperazione è più o meno ben dissimulata, ma è profonda, cupa, quasi inguaribile; ed è così compenetrata con la sua natura, che dire modernità e dire disperazione è praticamente la stessa cosa. La ragione di questa compenetrazione è duplice: l’uomo moderno è doppiamente disperato - l’osservazione è di Franco Bertini, e noi la sviluppiamo ulteriormente -, sia perché non accetta la sua condizione di creatura finita, e quindi mortale, sia perché, nello stesso tempo, si rende conto di non poter sfuggire a se stesso, al proprio io finito, e quindi di non poter sottrarsi allo spettacolo del suo continuo morire, del suo quotidiano, incessante venir meno.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’uomo ha sempre saputo di essere mortale e che, pertanto, la sua angoscia di morte non è una caratteristica specificamente moderna. Rispondiamo che l’uomo ha sempre saputo di essere mortale, ma non ha mai pensato, fino alle soglie della modernità, di estinguersi nel nulla con la propria morte. Al contrario, ha sempre pensato che la morte fosse l’inizio della vita vera: pensiero che si è enormemente espanso e perfezionato col cristianesimo, perché anche i greci e i romani – per limitarci al solo ambito della nostra civiltà – credevano, in linea di massima, in una sopravvivenza dell’anima alla morte fisica, e nondimeno, di fatto, guardavamo alla vita terrena come alla vita vera, alla vita piena; mentre il cristianesimo ha rovesciato la prospettiva, e ha fatto della vita eterna il proprio baricentro, e della vita terrena una semplice preparazione, e, di conseguenza, un pellegrinaggio. L’uomo cristiano, specialmente nell’epoca medievale, sapeva, sì, di dover morire, ma non ne era disperato, perché sapeva fin dalla sua infanzia che il suo vivere terreno sarebbe sfociato nel gran fiume dell’eternità; quel che lo teneva in ansia, semmai, era il timore dell’inferno, cioè dell’eterna dannazione, non quello della morte in se stessa. Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda [cioè la condanna, al momento del Giudizio finale, per le anime malvagie] no 'l farrà male: così san Francesco d’Assisi, nel Cantico delle creature. Ed è per questo che, come ebbe a dire la storica francese Régine Pernoud, Se vi fu, nella storia, un’epoca di gioia, questa fu il Medioevo (che è anche il titolo di un nostro articolo, pubblicato sul Corriere delle Regioni il 15/12/2016 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 31/12/17).